Il governo ha deciso che non si potranno produrre o vendere pesci e carni create in laboratorio da cellule staminali di muscoli animali. E lo ha fatto per tutelare la sovranità del gusto e della cultura italiana. Ci sono rimasto male perché non mi piace continuare a mangiare animali che vengono pescati o uccisi e perché il pesce coltivato sarebbe una benedizione per il mare. Appurato che le carni di laboratorio non creano problemi per la salute, altrimenti non sarebbero commercializzate in Paesi affidabili come Singapore e Israele e che un manzo o un pesce creato in laboratorio ha lo stesso gusto di quello tradizionale, perché sono identici, visto che vengono da una clonazione, la decisione del governo è influenzata dal nome e da interessi economici. Cominciamo dal nome.
Chiamiamola “coltivata”. I cibi odierni sono già il risultato di modifiche dell’uomo. Anche un tonno “coltivato” può essere buono e utile a tutti. I pesci di domani saranno senza spine come l’uva oggi è senza semi. E non verranno dal mare. Intanto ci nutriamo di semi sterili modificati geneticamente dalle multinazionali.
Se una fragola o una bistecca invece di chiamarla “sintetica”, la chiamassimo “coltivata” sarebbe più facile accettarla. E così va chiamata, non sintetica. E poi, i cibi che mangiamo oggi sono forse “naturali”? No, ovvio. Non ce li ha portati la cicogna o la spontanea evoluzione, ma modifiche dell’uomo: innesti, selezioni, ibridazioni. La fragola o la pannocchia non vengono dal campo di nonna, ma da manipolazioni e sono il terminale di una filiera, quasi sempre estera. I semi del mais, del girasole e di molte soie vengono dalla Monsanto, dalla Corteva, dalla Syngenta, dalla DuPont o dalla Bayer: multinazionali che hanno investito in ricerca e che vendono ai contadini semi ibridi. Semi buonissimi, facili da crescere e resistenti ai parassiti, ma con una differenza rispetto ai semi del passato: sono sterili e il contadino non li puó riutilizzare. E così ogni anno è costretto a ricomprarli pagando in dollari aziende oltre confine, in barba alla sovranità nazionale.
« IL MARE? SE FOSSE PER ME, LO LASCEREI PROPRIO STARE… SOLO COSÌ LE MIE FIGLIE POTRANNO TORNARE A VEDERE IL MARE CHE HO VISTO IO QUANDO ERO UN RAGAZZO, MAGARI MANGIANDO UNA TRIGLIA ALLA LIVORNESE SENZA SPINE. UNA TRIGLIA CHE NON È MAI STATA UCCISA»
Tutelare categorie: attenti alle esigenze di pochi
Le multinazionali sono già in casa perché nessuna azienda italiana è riuscita a sostituirsi alle straniere. Peraltro, già oggi più della metà del grano e del mais noi lo importiamo, quindi dove sta la sovranità alimentare? Anzi, c’è un gruppo alimentare che si fa pubblicità dicendo che raccoglie in tutto il mondo e distribuisce in Italia. Capisco e apprezzo che il governo italiano voglia tutelare le categorie colpite. Allevatori di bestiame o di pesce saranno danneggiati da chi produce carne in laboratorio. Ma la carne coltivata riduce i campi per l’allevamento, l’utilizzo di acqua e di energia e anche l’emissione di CO2. E allora perché trascurare questi vantaggi? Contano le esigenze di pochi o il beneficio per tutti? Forse, sarebbe meglio compensare i danni, d’altronde molti mestieri sono sempre stati messi fuori gioco dal progresso.
Il caso delle carrozze e il tonno alla siciliana
Pensiamo a chi costruiva carrozze. Invece di fermare il progresso, cercherei di portarlo in Italia, aiutando le imprese che investono in ricerca così da non dipendere dall’estero domani per l’acquisto di carni pulite. La carne coltivata è stata vietata per proteggere la nostra cultura gastronomica. Ma un tonno coltivato lo si potrá cucinare alla genovese o alla siciliana e sarà sempre più o meno buono a seconda della ricetta e di chi lo prepara. Per fare un chilo di tonno occorrono 50mila chili di piante, perché è un super predatore che mangia un quarto del suo peso al giorno. E noi siamo sfrenati consumatori di tonno in un Mediterraneo che non gode piu di buona salute. Abbiamo preso troppi pesci e il mare che ho visto da ragazzo oggi non c’è più. La pesca oramai si fa con attrezzature industriali così potenti che ogni volta si fa una strage.
«”FERMIAMOCI E TORNIAMO ALLA NATURA”? I PESCI DI DOMANI SARANNO SENZA SPINE COME L’UVA OGGI È SENZA SEMI E NON VERRANNO DAL MARE»
Quando qualcuno dice “fermiamoci e torniamo alla natura”, mi piace, ma mi chiedo: a quale natura? Alla pesca di una volta? Quella che produceva così poco che eravamo tutti affamati? O all’acquacoltura, per la quale si va in mare a pescare pesci selvatici per nutrire quelli d’allevamento? La vera scelta per salvare la natura è fare a meno di lei, quindi non solo non dobbiamo tornare alla natura, ma dobbiamo allontanarci da lei il più possibile. Come? Con tecnologia e innovazione. Per questo a me il pesce coltivato in laboratorio sembra la soluzione per salvare il mare. Perché distaccarci dalla natura è il modo migliore per proteggerla. Scegliere l’innovazione anziché respingerla, è un passo nella direzione giusta. So che non è facile, perché in fatto di cibo siamo conservatori e occorre tempo per adattarsi e cambiare a tavola , ma dobbiamo stare attenti all’equilibrio fra vecchio e nuovo.
Per sfamare 8 miliardi di persone
Siamo agricoltori e pescatori da oltre diecimila anni, capisco che non possiamo buttare tutto all’aria dall’oggi al domani, peró siamo otto miliardi di mangiatori sfrenati e solo grazie alla tecnologia riusciamo a diminuire la fame nel mondo. Insomma, si rischia di creare un guaio anche laddove le intenzioni di partenza sono buone. Solo unendo sensibilità e conoscenza, potremo cambiare quello che mettiamo nel piatto e il nostro impatto sull’ambiente. Si può fare. Lo abbiamo già fatto. I nostri nonni mangiavano, delfini, tartarughe e balene. Io credo che, indipendentemente dalle leggi di oggi, domani mangeremo tutti carne coltivata. La carne degli animali la mangeremo ogni tanto, una curiosità, e i nipoti la troveranno schifosa per via di tutte quelle ossa, quei nervi, quel grasso o nel caso dei pesci, tutte quelle spine, come oggi le mie figlie trovano dura la carne di pollo ruspante.
I pesci di domani non verranno dal mare
I pesci di domani saranno senza spine come l’uva di oggi è senza semi e non verranno dal mare. Viviamo nel mezzo di una rivoluzione alimentare, come quando siamo passati da cacciatori raccoglitori ad agricoltori. Dobbiamo guardare avanti non indietro. Domani non uccideremo più gli animali, ma continueremo a mangiare carne, coltivata appunto, e allora perché comprarla all’estero? Quanto al mare, il mio mare? Se fosse per me, lo lascerei proprio stare. Invece di considerarlo una riserva di cibo, lo considererei una riserva – una immensa riserva – di meraviglie. Solo così le mie figlie potranno tornare a vedere il mare che ho visto io quando ero un ragazzo, magari mangiando una triglia alla livornese senza spine. Una triglia che non è mai stata uccisa.
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