Io non sono vegano e nemmeno vegetariano, ma non per questo mi sento autorizzato a mangiare tutto come faceva mio nonno o come facevo anch’io fino a un po’ di tempo fa, quando non mi ponevo la domanda delle domande: dove fermarci? Fino a dove è lecito uccidere?
Certo, tutti ci uccidiamo. La natura è un mangiarsi a vicenda. Solo le piante non uccidono altri viventi, accontentandosi di acqua e luce.
Noi sapiens – l’elogiativo ce lo siamo autoattribuito – siamo i mangiatori più voraci e spregiudicati del pianeta, siamo sempre stati così. Abbiamo sterminato gli animali di grossa taglia in Australia, in Nuova Zelanda, in Papua Nuova Guinea, nel Nord e nel Sud America. Ovunque siamo arrivati abbiamo fatto piazza pulita. Gli orsi grigi della California sono sulla bandiera dello Stato ma l’orso è stato sterminato molto tempo fa. L’animale simbolo delle Mauritius è il Dodo, un colombaccio alto come un bambino, ma poco agile, che i
nostri progenitori hanno sterminato. L’orso grigio della California e il Dodo non ce l’hanno fatta. Sono sopravvissuti per milioni
di anni e poi sono spariti. Eppure, a loro per sopravvivere sarebbe bastata la nostra assenza.
Migliaia di altre specie, in mare e sulla terraferma sono nella condizione dell’orso grigio della California e del Dodo. Sono in questa situazione tutti gli animali che non si sono abituati a scappare di fronte a noi. Ma il problema non è solo loro, è di tutti noi, perché facciamo tutti parte di una rete, connessi come anelli di una catena, e la rottura di un anello rompe la catena.
E allora è arrivato il momento di affrontare l’argomento. Non possiamo più rimandare la scelta, dobbiamo decidere oggi. Tutti insieme. Dove vogliamo fermarci? Dove vogliamo smettere di uccidere? Fino ad oggi abbiamo scelto in base alle opportunità, alle abitudini, alla religione, a quello che ci preparava la nonna. Oggi dobbiamo prendere una decisione consapevole.
Dove deve cominciare la no killing zone? Posto che i viventi vanno dalla lattuga, ai lieviti fino al vicino di casa, dove dobbiamo
fermarci? Fino a dove è lecito togliere la vita a un vivente che un attimo prima ce l’aveva e che, se non avesse incontrato noi, un attimo
dopo ce l’avrebbe ancora? Io una risposta ce l’ho, ma solo per il mare. E la dipano con un esempio. Se un amico vi invita a cena e vi propone un filetto di lupo alla brace e un trancio di orso al sugo, credo gli direste: “ ma, sei matto?”. Ma se lo stesso amico vi dice: “stasera filetto di squalo alla brace e trancio di pesce spada al sugo, forse gli direste: “ il vino te lo porto io”. Due reazioni diverse per due cene simili.
Gli squali e i pesci spada sono gli orsi e i lupi del mare. Tutti e quattro sono super predatori al vertice di quella piramide alimentare con una base ampia e un vertice sottile in cui chi è sopra mangia chi è sotto. E in questo divorarsi a vicenda, i super predatori non sono mangiati da nessuno. Per questo la loro mamma fa pochi figli alla volta, che spesso impiegano anni prima di diventare fertili.
Se abbiamo le idee confuse – e ci sta, perchè siamo la prima generazione a farsi queste domande – utilizziamo almeno questo criterio elementare: dato che non mangiamo i super predatori terrestri, evitiamo di mangiare i super predatori del mare, come gli squali e i pesci spada. E guardate che noi di squali ne mangiamo tanti, spesso senza saperlo. Il pesce pavone è uno squalo, la verdesca è uno squalo, la vitella di mare è uno squalo, il palombo è uno squalo, il gattuccio è uno squalo. E potrei continuare.
Tra l’altro, da quando in mare la tecnologia e la conseguente pesca industriale ha preso il posto della tradizione, oramai non si pesca più: ogni volta si fa una strage. Lenze lunghe decine di chilometri trascinano migliaia di ami; reti a strascico tenute sul fondale con catene arano e distruggono ettari di mare; reti in sospeso a mezz’acqua sono così grandi che potrebbero contenere una intera cattedrale.
Cosa stiamo facendo? Siamo impazziti? Abbiamo dichiarato guerra agli oceani. Se la vinceremo, ci estingueremo come specie, perchè gli oceani, oltre a cibo e benessere, ci regalano l’aria che respiriamo: un respiro su due, infatti, lo dobbiamo alle piante del mare.
Stiamo rompendo un giocattolo che non sappiamo come riparare. Il buon senso ci dice che se una cosa non la sai aggiustare, allora non la devi rompere. Ma noi tiriamo dritto perchè non ce ne accorgiamo. La superficie del mare è sempre blu, immensa e bellissima e nasconde tutto quello che succede sotto. Un ghiacciaio che si scioglie, lo vedi: ieri c’era e oggi viene giù. Una foresta che brucia, la puoi anche fotografare, ma un mare che muore non fa rumore e poco si presta a foto fascinose. E sappiamo che… no pictures no story.
Allora, cosa possiamo fare noi che non abbiamo una nave da pesca, non gestiamo una raffineria, non creiamo il buco nell’ozono e non tagliamo il corno ai rinoceronti? Tutti noi possiamo fare qualcosa. A tavola, dato che tutti mangiamo. E oggi mangiare non è più qualcosa che si può fare distrattamente. Oggi mangiare è una scelta etica, politica, ecologica. Non solo di gusto, di abitudini o di spesa.
Almeno smettiamo di mangiare certi pesci. Mio nonno la domenica si mangiava il delfino al sugo: il mosciame in umido con le patate. Nonno era un brav’uomo: era basso, calvo e faceva il sarto, però era ignorante. Non sapeva. Mangiava il delfino perchè era buono, e allora si conosceva ben poco degli animali del mare. Un delfino o una ricciola erano considerati la stessa cosa. A nessuno veniva in mente che il primo era un mammifero e il secondo un pesce. E anche se veniva in mente, che differenza faceva? Non era importante cosa mettere nel tegame; c’era la fame o il ricordo della fame e il solo trovare proteine era già un successo. Ma oggi non è più così. Oggi se entriamo in un supermercato troviamo 20.000 prodotti diversi tra cui scegliere. Non possiamo più mangiare in maniera ignorante come faceva mio nonno. Non ce lo possiamo più permettere. Facciamo quel poco che possiamo fare. Tutti. Subito. E con il sorriso. Smettere di mangiare lo squalo o il pesce spada non è poi un gran sacrificio. E il mare, a cui tutti dobbiamo un respiro su due, ce ne sarà riconoscente.