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Rai News 20/10/2024 – Alberto Luca Recchi: “Giulia e il pesce spada, un incontro molto sfortunato. Ma non cambio idea”

By 21/10/2024 No Comments

Chi fa surf è un possibile bersaglio per i grandi squali che confondono l’essere umano per una tartaruga o una foca, ma un incidente con il pesce spada Giulia non lo aveva messo tra i rischi possibili perché non era mai capitato

 Il mare è un ambiente ancora sconosciuto e i pericoli spesso non sono dove li immagini.

Una surfista italiana di 36 anni, Giulia Manfrini, è morta trafitta da un pesce spada che è saltato fuori dall’acqua e l’ha trafitta al torace.
La poveretta non immaginava di correre questo rischio e in effetti è stata particolarmente sfortunata.

Chi fa surf è un possibile bersaglio per i grandi squali che confondono l’essere umano per una tartaruga o una foca, ma un incidente con il pesce spada Giulia non lo aveva messo tra i rischi possibili perché non era mai capitato.

Io ho paura del pesce spada da quando con un maschio adulto ho avuto un incontro ravvicinato. Nel 2002 a Carloforte in Sardegna entrai dentro una tonnara per vederla da “sotto” come la vedono i tonni.

La tonnara é una sequenza di reti parallele che indirizzano i tonni verso la destinazione finale: la camera della morte, dove 4 reti bloccano la fuga e una quinta rete viene sollevata. A quel punto i tonni, chiusi da tutte le parti , non hanno scampo, vengono in superficie dove li aspettano decine di pescatori che li tirano su con gli arpioni.

Tonni grandi come una porta mi sfrecciavano accanto sfiorandomi. Se uno mi avesse colpito mi avrebbe spappolato. Un quintale di carne affusolata a forma di siluro lanciata a 50 km l’ora fa male.

A un certo punto vedo la sagoma di un pesce senza pancia. È piu’ lungo dei tonni e più di me. É un pesce spada. La sua spada è più lunga del mio braccio. La utilizza come una frusta per stordire i pesci e combattere negli accoppiamenti, certo non per infilzare i subacquei, però avevo timore di questa spada, sapevo che avrebbe potuto trafiggermi senza difficoltà.

Mi tengo lontano. A differenza dei tonni, lui non nuota in gruppo, va per conto suo. Sta dalla parte opposta a dove sono io e ogni tanto inclina la testa verso la rete in cerca di un varco tra le maglie, ma non la trova.  Sa di essere in difficoltà. Dove passa lui, i tonni si scansano. Sono troppo grandi per essere una sua preda, ma la sua spada la vedono anche loro e mette paura.

Rimango immobile, rispettoso e affascinato da questo grosso pesce argentato.

Lui continua a tenersi alla larga finché il carosello dei tonni finisce perché i pesci sono tutti entrati nella camera della morte. Ma il pesce spada non ci entra e rimane a studiare la scena da lontano. Credo capisca che è in trappola e fa un paio di salti fuori dall’acqua. Non riesce a uscire. Ora nell’ultima rete siamo rimasti io e lui.

Che si fa? Anzi, che faccio?

Mentre penso al da farsi, lui gira e mi viene contro. È velocissimo. Mi punta, poi a mezzo metro da me si blocca. Il suo occhio nero è grande come una susina. Ci guardiamo. Metto la macchina fotografica tra me e lui per usarla come uno scudo, ma non serve. Lui non mi attacca e continua a fissarmi da fermo.

Sono davanti a un pesce familiare, ma sconosciuto. Gli squali li incontro e li studio da una vita, ma il pesce spada è davvero un estraneo. Non so niente di lui. Conosciamo poco di questi pesci, per secoli l’unica cosa che ci è interessata è stata capire come ucciderli.

Se cercate online il pesce spada, lo trovate in padella, al forno, alla siciliana o panato.  E infatti, pur avendolo a mezzo metro da me, lo sento un alieno. Non so se riesce a sentire il battito del mio cuore, non so se ha capito che è in trappola, non so a cosa pensa.

Mi viene l’idea di mettere la macchina fotografica tra le ginocchia per non farla cadere e afferro con le mani due maglie della rete. Le tiro e le allargo, riesco a creare un varco. È un attimo, lui lo vede, capisce al volo e con un colpo di coda scappa via.

Dalla superficie un pescatore con il batiscopio vede tutta la scena e quando emergo per poco mi sbrana. Gli avevo tolto una bella preda.

Cerco di giustificarmi dicendo che quegli occhioni mi sembravano piu’ intelligenti di quelli dei tonni e sembravano implorarmi, ma non ottengo nulla. Mi urla che ha fatto male a farmi entrare nella tonnara e che comunque non ci sarei entrato mai piu’. Capisco che aveva ragione, indennizzo tutti per il pesce spada andato perso e si ristabilisce l’armonia.

La sera ceniamo tutti insieme. Menù: pesce spada affumicato, tagliolini al pesce spada e pesce spada alla griglia. Era buonissimo, oggi però non lo mangerei più perché, anche se non sono diventato un vegano o un vegetariano, non mi sento più autorizzato a mangiare tutto come facevo allora. Oggi mi faccio sempre una domanda: fino a dove è lecito uccidere per mangiare?
Certo, la natura è un mangiarsi a vicenda. Solo le piante non uccidono altri viventi, ma si accontentano di acqua e luce, ma noi umani siamo i mangiatori piu’ voraci e spregiudicati del pianeta. Siamo sempre stati così. Abbiamo sterminato gli animali di grossa taglia in Australia, in Nuova Zelanda, nel Nord e nel Sud America. Ovunque siamo arrivati abbiamo fatto piazza pulita. Agli orsi grigi della California o al dodo, un colombaccio alto, ma poco agile, sarebbe bastata la nostra assenza per sopravvivere.

Ed è così anche in mare.

La scienza ci dice che i pesci spada sono una specie in pericolo e io mi adopero perché non vengano uccisi e mangiati perché sono dei super predatori e mangiarsi un pesce spada è come mangiarsi una pantera.

Oggi sono addolorato per la povera Giulia che ha perso la vita uccisa da un pesce spada, ma non ho cambiato idea: dobbiamo chiederci quale è il punto della linea della vita che va dalle piante ai primati dove noi umani dobbiamo smettere di uccidere? Dove comincia la no killing zone?

Il pesce spada della tonnara, a differenza dei tonni aveva una marcia in più. Era un solitario come un orso, non un gregario come una pecora e io continuo a credere che vada protetto.

Quel pesce spada, forse un marlin, potrebbe avere confuso il surf per un branco di pesciolini che ha cercato di stordire. Oppure ha percepito il surf come un concorrente predatore da scacciare via. Non credo però difendesse il territorio perché è un pesce che migra da un territorio all’altro.

Non sappiamo come è andata, certo è che Giulia Manfrini è stata davvero molto sfortunata. E contro la sfortuna non c’è nulla da fare.

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