ALBERTO LUCA RECCHIESPLORATORE DELLE PROFONDITÀ, SCRITTORE E FOTOGRAFO
«Con Piero Angela libri e amicizia» Dal mondo della finanza all’idea di libertà
«L a mia passione per il mare nacque quando vidi un uomo con due cernie giganti e tutti corsero a scattarsi una foto con lui. Quell’uomo era Mike Bongiorno. Per me il mare è libertà». A raccontarlo è l’esploratore, giornalista, fotografo, scrittore e subacqueo Alberto Luca Recchi,
autore di diversi libri sul mare, alcuni dei quali in collaborazione con Piero e Alberto Angela, nonché l’unico italiano a realizzare un libro fotografico per il National Geographic e uno dei due italiani a tenere una conferenza all’ “Explorers Club” di New York. Ma è anche autore di fotografie apparse sulle principali riviste internazionali e del podcast “Un mare di storie”, nonché colui che ha ideato e guidato le prime spedizioni per filmare balene, squali e capodogli nel Mediterraneo. Alberto, da dove nasce la sua passione per il mare? «Tutti i bambini che hanno la fortuna di vedere il mare lo amano. Avevo circa dieci anni, ero in Sardegna e un giorno vidi arrivare un signore con una barca e due cernie giganti. Tutti corsero verso di lui per scattarsi una foto e io non capii molto. Ma quest’uomo era molto famoso, era Mike Bongiorno. Lì mi resi conto che in mare c’erano queste creature immense e ne rimasi affascinato: così cominciò tutto». Al l’inizio, però, lavorava nel mondo della finanza. Come l’ha trasformata in lavoro? «Per una quindicina d’anni ho lavorato in banca e poi mi sono occupato di finanziamenti internazionali per una società pubblica. Andare sott’acqua era un hobby e collaboravo con le riviste di settore. Iniziai a fare un calendario, ma un giorno mi arrivò una telefonata: “Buon – giorno, è la Mondadori, qui c’è Piero Angela che vorrebbe fare un libro con lei”. Io pensai subito allo scherzo di un amico, ma molto scettico andai all’appuntamento e c’erano davvero Piero e Alberto Angela, con cui iniziammo a scrivere libri. Poi ho avuto la possibilità di lavorare negli Stati Uniti per grandi produzioni e così ho lasciato gli squali della finanza per quelli delle barriere coralline». Il mare piace a tanti, ma come se ne può spiegare l’importanza? «Il mare ci dà la metà dell’ossigeno che respiriamo, assorbe più del 30% di anidride carbonica che emettiamo, dà proteine a quasi tre miliardi di persone sul pianeta. È importante anche per chi vive in montagna, determina il clima ed è un luogo meraviglioso per lo spirito: il mare è libertà. E anche le sue creature sono fondamentali, ma vengono considerate merci e non una componente vitale dell’ecosistema. Ogni pesce non è qualcosa, è qualcuno, con la sua individualità».
Qual è la situazione del mare oggi?
«Sintetizzando, eccessiva pesca, eccessiva plastica ed eccessivo petrolio. In mezzo secolo, nell’indifferenza generale, sono stati tolti dal mare i pesci e ci sono stati buttati plastica e inquinanti chimici di vario genere».
Cosa si può fare per sensibilizzare alla salvaguardia delle nostre acque?
«Tutti noi possiamo fare qualcosa, a tavola. Mangiare non deve essere più una scelta distratta. In passato era un atto dettato da opportunità o abitudini familiari, ma oggi si può scegliere consapevolmente. Mangiare oggi è anche una scelta etica, politica, filosofica ed ecologica, perché a seconda di come mangiamo lasceremo un pianeta o un altro ai nostri figli. L’Italia è il primo consumatore di carne di squalo in Europa. Se smettessimo di mangiare certi pesci, forse non sarebbero più pescati».
Lei scrive libri, registra podcast, fotografa, porta il mare sul palcoscenico. Ma come le piace di più raccontarlo? «Sono molto critico con me stesso, ma i podcast, “Un mare di storie”, sono forse il prodotto di cui sono più fiero. In generale mi piace raccontare degli episodi che mi sono realmente accaduti, ma che sembrano favole. Siccome siamo la prima generazione ad andare sott’acqua con attrezzature tecniche, perché quella dei miei genitori non aveva le attrezzature e quella dei miei figli rischia di non avere i pesci, quello che racconto è sorprendente. Sento il dovere di raccontarlo. Il mare è anche una responsabilità per me, perché per esempio le balene, ancora oggi, sono uccise da nazioni ricche
come cibo di lusso».
È l’unico italiano ad aver realizzato un libro fotografico per il National Geographic.
Quanto è legato a quel lavoro?
«Molto, ma come a tante mie esperienze. Per esempio mi ha appassionato tenere una conferenza all’“Explorers Club” di New York, il gotha delle esplorazioni mondiali, dove c’erano persino astronauti che erano stati sulla Luna. Mi tremava la voce a parlare con loro».
Lei ha anche ideato e guidato le prime esplorazioni per filmare balene, squali e capodogli nel Mediterraneo.
Come è nata l’idea?
«Avevo visto balene, squali e capodogli in tutto il mondo e a un certo punto mi sono chiesto se fosse mai possibile che nessuno lo avesse fatto nel Mediterraneo, così decisi di farlo io. Ho iniziato con le balenottere,
nel 1998, poi con gli squali l’anno successivo e con i capodogli dopo una manciata di anni».
Ma il mare della Puglia le piace?
«Sono tornato in Puglia dopo molti anni e me ne sono innamorato. Voglio lasciare Roma e venire a vivere in Puglia».